Pinsa Romana (in italiano)

La Pinsa Romana sta appena iniziando a farsi scoprire fuori dall’Italia. È un’antica pizza romana che è stata nel tempo reinterpretata con nuovi ingredienti e tecniche moderne. È una versione più leggera e salutare dell’amata pizza italiana. Pinsa deriva dalla parola latina “pinsere”, che significa allungare o allargare.

La ricetta originale nasce da un antico prodotto realizzato tra le popolazioni rurali che vivevano fuori le mura di Roma. Facevano una specie di focaccia o piadina macinando grani come miglio, orzo e farro e poi aggiungendo sale ed erbe aromatiche. La ricetta tradizionale è stata rivisitata nei secoli.

Corrado Di Marco, pizzaiolo a Roma, è ampiamente considerato il fondatore dell’odierna Pinsa Romana. Negli anni ’70 inizia la sua ricerca con più di 2.000 esperimenti di fermentazione e una rigorosa applicazione del metodo scientifico. Nel 1981 introduce la Pizzasnella, un misto di farine a base di frumento e soia che produce una pizza a lunga lievitazione, senza grassi o zuccheri aggiunti. Poi nel proprio laboratorio ha prodotto la prima Pinsa Romana nel 2001, in cui alle farine di frumento e soia vengono aggiunte farina di riso e pasta madre per produrre la piadina di forma oblunga.

La Pinsa Romana si distingue non solo per la forma ovale, ma anche per la consistenza (croccante fuori, morbida dentro), profumo (dovuto al lievito e alla lunga lievitatura fino a 72 ore), per una ricetta distinta (3 tipi di farina e lievito madre essiccato), e digeribilità (la presenza di farine di riso e di soia significa meno glutine). Rispetto alla pizza tradizionale, la pinsa ha il 48% di carboidrati in meno, l’85% di grassi in meno, il 100% di colesterolo in meno, il 33% di calorie in meno, e il 75% di idratazione rispetto al 50-60% della pizza tradizionale. 

Ispirazioni per i condimenti? Come con la pizza tradizionale, lascia che la tua immaginazione sia la tua guida. Ecco alcune idee:

• Diavola: salsa di pomodoro, mozzarella, salame piccante, olive nere, cipolle rosse, basilico, pepe

• Napoli: salsa di pomodoro, mozzarella, acciughe, origano

• Cotto e Funghi: salsa di pomodoro, mozzarella, prosciutto cotto, funghi, prezzemolo

• Dolce e Salato: mozzarella, pere, gorgonzola, miele, noci

• Tropea: mozzarella, acciughe, zucchine, cipolla rossa, pomodorini, capperi, olio d’oliva

• Montanara: mozzarella e pecorino, guanciale, funghi, olio al tartufo, pepe nero, prezzemolo

• Cotto e melanzane: mozzarella, grana Padano, prosciutto cotto, melanzane, cipolla rossa

• Tripla P: mozzarella, patate, pesto, pancetta, pomodorini

• Parma: stracciatella (un formaggio pugliese), prosciutto di Parma, mozzarella, pomodorini

• Mortazza: stracciatella, mortadella, ricotta, pistacchi

• Salmone: crema di formaggio, stracciatella, rucola, salmone affumicato, pomodorini, aceto balsamico

• Miele: crema di ricotta, noci, miele, fichi

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Pinsa Romana (in English)

Pinsa Romana is just beginning to be discovered outside of Italy.  It is an ancient Roman pizza that has been reinterpreted over time with new ingredients and modern techniques.  It is a lighter, healthier version of the beloved Italian pizza.  Pinsa comes from the Latin word “pinsere,” which means to stretch or to spread.

The original recipe comes from an ancient product made among the rural populations living outside the walls of Rome.  They made a kind of focaccia or flatbread grinding grains like millet, barley and spelt and then adding salt and herbs.  The traditional recipe has been revisited over the centuries.

Corrado Di Marco, a pizzaiolo in Rome, is widely considered the founder of today’s Pinsa Romana.  During the 1970s he began his research with more than 2,000 fermentation experiments and strict application of the scientific method.  In 1981, he introduced the Pizzasnella, a mix of wheat and soy-based flours that produced a pizza with a long leavening time, without added fats or sugars.  Then in his own laboratory he produced the first Pinsa Romana in 2001, in which rice flour and mother dough were added to the wheat and soy flours to produce the oblong-shaped flatbread.

Pinsa Romana is distinguished not only by its oval shape, but also by its texture (crunchy on the outside, soft on the inside), fragrance (due to the yeast and the long maturation process of up to 72 hours), distinct recipe (3 types of flour and dried mother yeast), and digestibility (the presence of rice and soy flours means less gluten).  Compared to traditional pizza, pinsa has 48% less sugar, 85% less fat, 100% less cholesterol, and 33% fewer calories, and 75% hydration compared to 50-60% for traditional pizza. 

Topping inspirations?  Like with traditional pizza, let your imagination be your guide.  Here are some ideas:

  • Diavola (devil): tomato sauce, mozzarella, spicy salame, black olives, red onions, fresh basil, pepper
  • Napoli: tomato sauce, mozzarella, anchovies, oregano
  • Prosciutto and Funghi: tomato sauce, mozzarella, prosciutto cotto, mushrooms and parsley
  • Dolce e Salato (sweet and salty): mozzarella, pears, gorgonzola, honey and walnuts
  • Tropea (seaside resort in the Calabria region): mozzarella, anchovies, zucchini, red onion, cherry tomatoes, capers, olive oil
  • Montanara (named for the mountains around Naples): mozzarella and pecorino, guanciale, mushrooms, truffle oil, black pepper, parsley
  • Prosciutto and Melanzane: mozzarella, grana Padano, prosciutto cotto, eggplant, red onion
  • Triple P: mozzarella, potato, pesto, pancetta, cherry tomatoes
  • Parma: stracciatella (a cheese from the Puglia region), prosciutto di Parma, mozzarella, cherry tomatoes
  • Mortazza (Roman term for mortadella): stracciatella, mortadella, ricotta, pistacchi
  • Salmon: cream cheese, Stracciatella, arugula, smoked salmon, cherry tomatoes, balsamic vinegar
  • Miele: ricotta cream, nuts, honey, figs
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Il santuario della Madonna della corona

Nell’agosto 2022, Architectural Digest presentava “17 splendidi luoghi di culto incorporati nella natura”. Tra questi compresa una cappella italiana che appare sospesa su una scogliera a picco sopra il fiume Adige, in provincia di Verona. Oggi è una popolare meta di pellegrinaggio per coloro che vogliono meditare o pregare in pace, o apprezzare la straordinaria bellezza del luogo: le alte montagne verticali sopra, la lussureggiante valle sotto, il tortuoso Adige e la chiesa color salmone con il suo campanile proteso verso il cielo.

Il santuario fu inizialmente edificato nel 1530. Ma ci sono prove che il luogo fosse già frequentato nei secoli XI e XII. Un eremo vi ospitò asceti legati al Monastero di San Zeno a Verona.

Le origini della costruzione del santuario della Madonna della Corona rimandano ad una leggenda locale. La storia racconta del miracoloso ritrovamento di una statua della Pietà sull’orlo del burrone roccioso. La statua era originariamente conservata sull’isola di Rodi. Per sfuggire all’invasione turca di Solimano II e alla confisca dei tesori dell’isola, un angelo trasferì la statua in questa zona del Monte Baldo. Quando un gruppo di gente del posto vide una luce lì e sentì un coro angelico provenire dalla parete rocciosa, cercarono di raggiungere il punto insidioso. Hanno dovuto calarsi con delle corde per vedere la statua misteriosa. Decisero allora di erigere proprio in quel punto una cappella per ospitare la bella Madonna.

La storia è molto probabilmente apocrifa in quanto la scultura è realizzata in pietra originaria della zona. Tuttavia, la leggenda divenne abbastanza popolare poiché sempre più pellegrini visitavano la zona. Poiché il santuario era difficile da raggiungere, fecero costruirono un sentiero scavando gradini nella roccia e erigendo il famoso “Ponte del Tiglio”, per facilitare il pellegrinaggio. 

Nel corso dei secoli, la cappella principale ha subito una serie di modifiche. La statua della Madonna è ancora appesa sopra l’altare maggiore. Grazie alla relativa inaccessibilità della chiesa, non fu mai totalmente distrutta e riuscì a sopravvivere fino al XX secolo. Negli anni ’70 un architetto italiano demolì gran parte della vecchia struttura e la ricostruì, conservando quanti più importanti elementi artistici possibile.

Arroccato su uno sperone roccioso a quota 775 metri (circa 2500 piedi) sul livello del mare, il Santuario della Madonna della Corona era raggiungibile solo dopo una salita di 1.614 gradini lungo il Sentiero del Pellegrino (detto anche Sentiero della Speranza) dal paese di Brentino Belluno in Val Lagarina in provincia di Verona. Oggi il sentiero per la cappella è stato ammodernato e il santuario è raggiungibile anche dall’alto per una strada asfaltata che parte nei pressi del paese di Spiazzi.

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