Correva l’anno 1937. Gino Bartali (1914 – 2000) vinse il Giro d’Italia per la seconda volta consecutiva. Era a quel tempo il più grande idolo sportivo italiano ed europeo. Erano gli anni in cui Benito Mussolini governava l’Italia con violenza e intimidazione, già da ben 15 anni e presto avrebbe portato il paese in guerra. Nel 1938 Bartali vinse il Tour de France. Mussolini cercò di usare questa vittoria sulla scena mondiale per dimostrare la superiorità della razza ariana e quindi dell’Italia, una “razza pura o superiore,” come quella tedesca.
Bartali rifiutò la tessera del partito fascista. Non fu la prima e nemmeno l’ultima volta che sfidò il facismo. Infatti durante la guerra rischiava la vita quasi ogni giorno per proteggere ebrei e partigiani in tutta Italia. La storia di Bartali è la cornice del documentario del 2014, “My Italian Secret: Forgotten Heroes”, diretto da Oren Jacoby e narrato da Isabella Rossellini.
La sua fama come ciclista gli consenti di raggiungere in bicicletta non solo le campagne della sua nativa Toscana, ma anche città come Genova, Roma, Assisi, ecc. Indossava il completo da ciclista con il proprio nome stampato sul retro della maglia. Percorreva circa 40.000 chilometri all’anno durante la guerra. “Mi sto allenando”, diceva, e fascisti e nazisti non osavano fermare l’idolo dello sport. Non sapevano che portava documenti segreti nel telaio della sua bicicletta. Naturalmente non voleva e non poteva svelare quali fossero questi documenti, perché nel caso sarebbe stato arrestato e torturato. Né i nazisti sapevano che aveva nascosto una famiglia ebrea nel seminterrato di casa sua. Se l’avessero scoperto, sarebbe stato immediatamente fucilato.
Passava spesso anche per Terentola, un piccolo paese della Toscana vicino a Castiglione del Lago in Umbria. La stazione ferroviaria di Terentola era uno snodo importante per i convogli tra il nord e il sud Italia. Ebrei e partigiani tentarono più volte e segretamente di salire sui treni diretti a sud per chiedere asilo. Quindi la stazione era fortemente sorvegliata. Ma quando si presentava Bartoli, la folla si raccoglieva attorno al grande campione del ciclismo. Era il momento giusto per i rifugiati di cambiare treno e dirigersi verso la libertà, perché le guardie sarebbero accorse verso la folla creata da Bartali per disperderla, lasciando così i treni incustoditi.
Assisi era il centro dell’attività segreta. Molti ebrei erano nascosti lì nei monasteri e se venivano messi in pericolo dalle truppe in visita, venivano portati nelle grotte romane sotterranee dove potevano fuggire nelle campagne. Tra Firenze e Assisi, Bartali trasportava fotografie e false carte d’identità che avrebbero permesso a molti ebrei di non essere scoperti, e quindi avrebbero evitato una morte certa.
Fu sempre ad Assisi, molti anni dopo, che Bartali iniziò a raccontare al figlio trentenne Andrea, delle sue imprese in tempo di guerra. A Bartali piace andare ad Assisi per ammirare gli affreschi di Giotto e per rivivere i suoi ricordi. Uomo profondamente religioso, Bartali non ha mai parlato delle sue nobili azioni. Disse ad Andrea: “È un mondo in cui devi fare del bene, ma non parlarne”. Fece giurare ad Andrea di non dirlo a nessuno. Quando suo figlio gli chiese: “Perché mi dici questo se non posso dirlo a nessuno?”, suo padre disse: “Un giorno troverai il momento giusto per parlarne”.
Anche dopo che Bartali vinse il suo secondo Tour de France nel 1948, 10 anni dopo la sua prima vittoria in Francia, fece silenzio riguardo ai suoi contributi in tempo di guerra. Credeva che gli eroi fossero quelli che morirono, che venivano feriti o che avevano trascorso un tempo infinito in prigione e nei campi di concentramento. Credeva che se avesse parlato del proprio lavoro, avrebbe tratto vantaggio dalle disgrazie altrui. Credeva che nel mondo ci fossero troppe ingiustizie spinte da un cieco fanatismo. Nella sua intervista nel documentario, Andrea dice: “Ha fatto quello che ha fatto a causa del suo personaggio”.
L’ultima dimora di Bartali rivela ulteriormente la sua umiltà. La tomba riporta semplicemente il suo nome e le date di nascita e morte. Non si fa menzione alcuna alle sue vittorie ciclistiche, al suo eroismo in tempo di guerra, alle tante medaglie che vinse. Come disse lui stesso, “le medaglie devono essere indossate sulla tua anima”
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