È un occhio nero per l’ordinamento giudiziario in America. La storia di Sacco e Vanzetti continua a vivere ed è stata ripetutamente rivisitata nei 90 anni dopo l’esecuzione degli immigranti italiani. Libri, film, e canzoni hanno mantenuto viva la memoria di queste vittime per quasi un secolo. Anche quest’anno (2017), un libro è stato pubblicato in Italia intitolato La Marcia del Dolore che tratta i loro funerali.
Nicola Sacco era un ciabattino della provincia di Foggia in Puglia; Bartolomeo Vanzetti era un pescivendolo di Cuneo in Piemonte. Nel 1908, all’età di 17 e 20 anni, emigrarono negli Stati Uniti. Al suo processo nel 1920, Vanzetti ricorda il suo arrivo a New York: “Al centro immigrazione ebbi la prima sorpresa. Gli emigranti venivano smistati come tanti animali. Non una parola di gentilezza, di incoraggiamento, per alleggerire il fardello di dolori che pesa così tanto su chi è appena arrivato in America.” E in seguito scrisse: “Dove potevo andare? Cosa potevo fare? Quella era la Terra Promessa. Il treno della sopraelevata passava sferragliando e non rispondeva niente. Le automobili e i tram passavano oltre senza badare a me”.
Entrambi gli uomini erano anarchici che avevano lottato contro un governo violento e repressivo. Finirono a Boston e si incontrarono nel 1917 durante uno sciopero. Poi nel 1920 ci fu una rapina allo Slater and Morrill Shoe Company a Braintree, Massachusett e due uomini, un cassiere e una guardia giurata, sono stati sparati e uccisi. Nel 1921, dopo poche ore di riflessione, una giuria condannò Sacco e Vanzetti di omicidio di primo grado basato su prove circostanziali. Furono conda nnati a morte sulla sedia elettrica.
Gli appelli si sono susseguiti per 7 anni. Erano basati su testimonianze recanti, conflitti di prova balistica, dichiarazione pregiudiziale del caposquadra della giuria, e persino una confessione da parte di un gangster conosciuto che confermò la rapina. Il giudice, che ripetutamente chiamava Sacco e Vanzetti “bastardi” durante il processo, negò tutti gli appelli.
Gli anni ’20 erano un’era di terrore politico, lo “spavento rosso”. La paura e il pregiudizio erano dilaganti, soprattutto fra gli anarchici e gli immigranti. Tuttavia, il caso attirò l’attenzione mondiale e divenne una delle cause più grandi della storia moderna. Vennero organizzate proteste in tutte le principali città del Nord America e dell’Europa, nonché a Tokyo, Sydney, San Paolo, Rio de Janeiro, Buenos Aires, e Johannesburg. Gli intellettuali come Albert Einstein e Bertrand Russell sostennero la causa. Anche Benito Mussolini, nonostante una diversa ideologia politica, desiderava che le loro vite fossero risparmiate. Ma tutte le iniziative fallirono. Sacco e Vanzetti morirono sulle sedie elettriche nel 1927. Più di 400.000 persone vennero ai funerali; indossarono braccialetti con scritto: “La giustizia è stata crocifissa. Ricordatevi del 23 agosto 1927”.
Ecco l’ultima affermazione di Vanzetti prima della sua morte: “Se non fosse stato per queste cose, potrei vivere la mia vita parlando agli uomini sprezzanti agli angoli delle strade. Potrei essere morto senza segno, sconosciuto, un fallimento. Adesso non siamo un fallimento. Mai in tutta la nostra vita possiamo sperare di fare un tale lavoro per la tolleranza, per la giustizia, per la comprensione dell’uomo per uomo, come adesso facciamo per caso. Il prendere di nostre vite—vite di un buon calzolaio e di un pescivendolo povero—tutto. Quell’ultimo momento appartiene a noi. Quella agonia è il nostro trionfo.”
Cinquanta anni dopo le loro morti, Michael Dukakis, il governatore del Massachusetts nel 1977, pubblicò un annuncio in cui dichiarava che Sacco e Vanzetti erano stati ingiustamente processati e condannati e che “ogni disgrazia dovrà essere rimossa per sempre dai loro nomi”.