Nell’ottobre 2022, Netflix ha lanciato un documentario in quattro parti intitolato La Ragazza Vaticana: La Scomparsa di Emanuela Orlandi. Racconta la vera storia di una ragazza quindicenne, cittadina della Città del Vaticano, scomparsa nell’estate del 1983. Il mistero non è mai stato risolto, ma alla fine della serie si arriva a determinate ipotesi riguardo al destino di Emanuela.
Lei era la quarta di cinque figli in una famiglia che ha servito amministrati di sette Papi per secoli. Suo padre era messaggero per la Banca Vaticana. Emanuela era una studentessa di musica; suonava il pianoforte e la flauto e cantava in un coro alla scuola di musica, vicino a Piazza Navona, nei pressi del Vaticano. La notte della scomparsa si stava recando alla scuola di musica per cantare e suonare il flauto.
L’agonia della famiglia è palpabile per tutto il documentario. Roma viene tappezzata di manifesti con la sua foto e di richieste di informazione. La famiglia e i Carabinieri hanno seguito indizio dopo indizio. Ciascuno degli episodi è incentrato su una o più teorie: due anni prima, un cittadino turco aveva sparato a Papa Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro; presunti rapitori chiedevano di riscattarlo con Emanuela. Durante il periodo della Guerra Fredda, c’era persino il sospetto di un coinvolgimento del KGB. E a un certo punto sembrava certo che pure la mafia sapesse dove si trovava Emanuela.
Ma la storia torna più e più volte in Vaticano. Perché Papa Giovanni Paolo II è stato il primo ad annunciare il rapimento di Emanuela? Dove ha preso i soldi per finanziare il movimento Solidarnosc nel suo paese natale, la Polonia? La Banca Ambrosiana e la Banca Vaticana riciclavano denaro mafioso? E perché Papa Francesco ha detto a suo fratello Pietro che Emanuela è in cielo? Come spiegò il fratello Pietro, quelle quattro parole gli conficcarono un pugnale nel cuore. Ma il Papa si è rifiutato di dire altro.
Il fulcro del caso, secondo me, è un documento che un giornalista ha ottenuto durante il periodo dello scandalo VatiLeaks, iniziato nel 2012, che denunciava la corruzione del Vaticano. Il documento sembrava essere un rendiconto finanziario delle spese pagate per conto di Emanuela e comprendeva una cospicua spesa finale, presunta spesa per la sua sepoltura.
L’episodio finale ha sollevato una nuova teoria che punta ancora una volta il dito sul Vaticano. Una compagna di liceo di Emanuela racconta, in forma anonima, una conversazione telefonica in cui Emanuela confessa nervosamente che quando passeggiava nei giardini vaticani, un arcivescovo vicino al Papa la “infastidiva”. L’amica ha dichiarato che intendeva esplicitamente che si trattava di avance sessuali. Se così fosse, sarebbe la prima volta che del Vaticano ad aver adottato una cattiva condotta sessuale sul proprio suolo. E se così fosse, sarebbe stato motivo più che valido per mettere a tacere Emanuela.
Per tutto il documentario si prova un senso di tristezza travolgente verso la famiglia Orlandi. Poco prima che il padre morisse nel 2004, disse alla famiglia: “Sono stato tradito dalle stesse persone che ho servito”. La madre di 92 anni pensa a sua figlia ogni giorno della sua vita con la speranza di poter mettere un fiore sulla sua tomba prima che lei stessa muoia.
Per il resto, tutti noi siamo anche profondamente rattristati dal fatto che il potere della Chiesa sia molto più grande della vita di una giovane ragazza. Sul finire del documentario, viene da chiedersi se tutte le piste che la famiglia e i Carabinieri hanno seguito per decenni non siano state effettivamente orchestrate dal Vaticano per distrarre dal vero colpevole. Il Vaticano ha risposte almeno parziali, speriamo quindi che ci sia un quinto episodio che si spieghi queste connessioni.
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