Questo post sarà diviso in due parti. La seconda parte verrà pubblicata la prossima settimana. Il saggio intero è una collaborazione con la mia amica, Jean Perloff, avvocato, che ha scritto 2 saggi lunghi su Falcone e Borsellino. Questi post sono versioni abbreviate.
Le loro vite furono intrecciate fin dall’inizio, così come il loro destino. Entrambi nacquero a Palermo in Sicilia: Giovanni Falcone nel maggio 1939, e Paolo Borsellino 8 mesi dopo. Crebbero a Kalsa, l’antico quartiere arabo di Palermo. Abitavano vicini l’uno con l’altro e furono amici fin da bambini. Giocavano calcio insieme in piazza della Magione – inconsapevoli della presenza della mafia o del fatto che alcuni compagni di scuola sarebbero diventati criminali.
Giovanni e Paolo frequentavano lo stesso liceo classico ed erano studenti modello. Dopo la maturità, i loro sentieri hanno preso strade un po’ diverse. Falcone entrò all’accademia militare di Livorno, poi ci ripensò e si iscrisse a Giurisprudenza. Borsellino optò subito per gli studi di Legge. Tutti e due si laurearono a pieni voti.
Le loro carriere li portarono in diverse parti in Sicilia, dove ognuno entrò in contatto con la realtà della mafia. Nel 1969 Borsellino fu trasferito a Monreale, vicino a Palermo; come agente di udienza, lavorò fianco a fianco con il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, che fu ucciso dalla mafia nel 1980. Borsellino indagò sull’omicidio. Nel frattempo, Falcone fu anche trasferito a Palermo dove lavorò al processo del costruttore edile Rosario Spatola, accusato di associazione mafiosa.
Nei primi anni Ottanta scoppiò una guerra mafiosa che causò nel capoluogo siciliano un morto ogni tre giorni. Alla fine le vittime furono circa 1.200, che sfinirono le file nemiche del capo dei capi, Totò Riina. A quel tempo, la violenza di Riina si era anche rivolta contro lo Stato. Nell’aprile 1982, Pio La Torre, segretario regionale del Partito comunista e membro della Commissione antimafia, fu ucciso nella sua auto a Palermo. In risposta, il governo inviò in Sicilia come prefetto anti mafiosa, il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Per la Cosa Nostra era una minaccia seria. A settembre Dalla Chiesa fu ucciso con la moglie.
Dopo che un’autobomba ammazzò un altro ufficiale giudiziale, Antonino Caponnetto fu nominato magistrato anti-mafia. Non aveva esperienza di processi di mafia, ma era nota la sua serietà professionale. Caponnetto si rese conto della necessità di costruire un pool di magistrati per frazionare i rischi dei singoli e avere una visione unitaria del fenomeno mafioso. Il primo a essere scelto fu proprio Falcone, e, al suo consiglio, Borsellino fu aggiunto alla squadra. Mentre la squadra lavorava instancabilmente, c’era un altro sviluppo –“la stagione dei penitenti”.
Primo di tutti Tommaso Buscetta, “don Masino”, un trafficante di droga. Nella guerra scatenata da Totò Riina, Buscetta aveva perso due figli, un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti. Volle collaborare con le autorità ma voleva parlare solo con il numero uno del pool palermitano: Giovanni Falcone. Buscetta disse a Falcone: “L’avverto signor giudice. Dopo questo interrogatorio lei diventerà una celebrità. Ma cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto che ha aperto con Cosa nostra non si chiuderà mai. È sempre del parere di interrogarmi?”
Fine della prima parte. La seconda parte apparirà la prossima settimana.