Il saccheggio esiste fin dall’antichità. I romani iniziarono tale pratica che è durata per più di 2000 anni. Dopo i romani divenne attività comune rubare i tesori ai vinti per indebolirne lo status. Il bottino forniva anche fondi per finanziare le campagne militari. Successivamente, il saccheggio divenne motivo accettabile per iniziare una guerra, tanto per i Vichinghi quanto per i Conquistadores, come per i principi medievali.
Napoleone Bonaparte non fu il primo, né l’ultimo condottiero a rubare opere d’arte ai territori conquistati. Mentre Adolf Hitler è stato il più grande saccheggiatore in tempo di guerra, Napoleone e le sue truppe saccheggiarono opere d’arte su scala epica. Eppure, poco prima che Napoleone entrasse in scena, la Francia rivoluzionaria stava già impadronendosi di preziose opere d’arte per coronare il Museo del Louvre. Le grandi opere d’arte europee ora appartenevano al popolo, non solo a re e papi. Il museo fu aperto nel 1793 con opere per lo più sottratte a collezioni reali francesi ed alcune proprietà della Chiesa. Ma dove trovarne di più? I nuovi governanti francesi decisero che altri beni artistici sarebbero stati “liberati” con le loro conquiste. Giustificarono l’appropriazione di capolavori non solo con la convinzione che il bottino di guerra appartenesse al vincitore, ma anche con la convinzione che la Francia fosse il posto migliore per loro: “La Repubblica francese, per la forza e la superiorità del suo illuminismo e dei suoi artisti, è l’unico Paese al mondo che può dare una dimora sicura a questi capolavori”.
Il Napoleone in cerca di gloria abbracciò questo stilo per arricchire il nuovo museo francese. Nel 1796 il suo esercito attraversò l’Italia sottraendo tesori alle città vinte. Le acquisizioni erano molto ben organizzate, le opere erano selezionate da specialisti e i sequestri avvenivano attraverso trattati di pace. Anche il Vaticano fu tenuto a consegnare preziosi manoscritti e a pagare il trasporto per Parigi dei tesori confiscati. Con il trattato di Tolentino del febbraio 1797, i commissari francesi potevano entrare in qualsiasi edificio, pubblico, privato o religioso, per confiscare opere artistiche. Tra le sculture antiche consegnate dal Vaticano c’erano l’Apollo del Belvedere, Laocoonte e i suoi figli e il Gallo morente. Napoleone scrisse: “Il comitato degli studiosi ha ottenuto un buon raccolto a Ravenna, Rimini, Pesaro, Ancona, Loreto e Perugia. Unito a quello che manderemo da Roma, che ci darà tutto il bello d’Italia tranne poche cose a Torino e a Napoli”.
Nel maggio 1797 le truppe di Napoleone giunsero a Venezia. Si impadronirono del leone alato di Piazza San Marco e dei famosi quattro cavalli della Basilica di San Marco, per essere collocati in cima all’Arco di Trionfo a Parigi. Altre opere d’arte saccheggiate furono Le nozze di Cana (di cui parleremo nella seconda parte) e altri dipinti di Veronese, Tiziano e Tintoretto.
Il bottino di guerra italiano fu fatto sfilare per le strade di Parigi in una cosiddetta “Festa della Libertà” nel luglio 1798. Lo stendardo sul carro che trasportava l‘Apollo del Belvedere portava la scritta: “La Grecia li ha ceduti, Roma li ha perduti. Il loro destino è cambiato due volte; non cambierà più”. Le opere erano destinate al nuovo museo nazionale del Louvre, ribattezzato Le Museé Napoleon nel 1802.