Le avventure della lettera “Acca”

(Adottato da un articolo nel Corriere della Sera.)

In francese, c’è “heure” (ora) e in inglese c’è “hour” (ora) e “heir”(erede).  In questi casi, l’acca è muta.  Ci sono molte parole in inglese, come “help” (aiuta) e “horse” (cavallo), in cui l’acca è aspirata.  Ma in italiano, l’acca è sempre muta: ho un cane; hai un gatto; chi è qui?  Si scrive ma non si legge, si vede ma non si sente.

La storia dell’acca italiana è antica quanto quella dell’alfabeto che, fu inventato dai fenici.  Le prime iscrizioni conosciute risalgono al 1000 a. C.  La “het” era l’ottava lettera dell’alfabeto fenicio e si scriveva con un segno a forma di rettangolo con un trattino in mezzo (“acca chiusa”).  Corrispondeva a un suono sconosciuto dagli italiani che veniva prodotto con un restringimento della cavità orale all’altezza della faringe.

A partire dal IX secolo a.C., i commercianti libanesi avevano contatti sempre più frequenti con i greci che erano a conoscenza delle loro straordinarie invenzioni tecnologiche, dal vetro all’alfabeto.  L’adozione dell’alfabeto fu un processo complesso perché il greco antico era una lingua indoeuropea con suoni diversi dal fenicio che era una lingua semitica.  In greco molte parole iniziavano con delle vocali aspirate.  Queste parole furono trascritte con il segno “het” davanti che stava a indicare appunto un’aspirazione.

Verso la fine del VII secolo a.C., ci fu una semplificazione dell’antico segno “het”: i due trattini superiore e inferiore vennero tralasciati e la lettera assunse la forma della acca corrente.  Si passò, così, gradualmente, dalla “acca chiusa” alla “acca aperta”.

In greco antico esistevano molti dialetti.  A Mileto e più in generale nella Ionia asiatica corrispondente alla costa centrale della Turchia, i greci parlavano un dialetto privo di aspirazioni.  Usavano il simbolo “het” fenicio per indicare la vocale “e” lunga.  Nel 403 a.C. la città di Atene decise con un decreto ufficiale di adottare l’alfabeto di Mileto.  Fu così che il segno a forma di “acca” si impose quasi ovunque nel mondo greco come simbolo della lettera eta, cioè della “e” lunga, mentre per indicare il suono aspirato entrò lo “spirito aspro” sopra le vocali iniziali.

Il segno a forma di acca ebbe una sorte diversa nelle colonie greche in Campania.  La prima era a Cuma (ora un sito archeologico a Napoli), che fu fondata dai greci dell’isola Eubea nell’VIII secolo.  Nell’alfabeto dei cumani quel segno continuava a indicare il suono dell’acca aspirata e così passò anche ai romani che adottarono il simbolo nella sua variante aperta proprio per indicare il suono dell’aspirazione all’inizio di molte parole latine (per esempio, homo per uomo, habere per avere), da cui l’acca che sopravvive ancora in italiano—anche se muta—nelle voci del verbo avere.

Come avvenne il passaggio dalla acca aspirata latina all’acca muta italiana?  Nell’antica Roma i ricchi parlavano in un modo e i poveri in un altro: la lingua colta marcava l’acca all’inizio delle parole, e il popolo ignorante invece non pronunciava l’acca.  Ne dà testimonianza Catullo in una sua poesia in cui ironizza su un certo Arrio che per darsi un tono piazza l’acca aspirata a sproposito un po’ dappertutto.

La lingua parlata italiana ereditò la dizione del latino rustico che non pronunciava il suono aspirato all’inizio della parola.  Tuttavia l’acca sopravvisse nell’italiano scritto.  Fra i suoi paladini più convinti nel Rinascimento, ci fu Ludovico Ariosto: “Chi leva la H all’huomo, e chi la leva all’honore, non è degno di honore”.  Alla fine però i nemici dell’acca ebbero la meglio e imposero una grafia semplificata senza il segno “H” all’inizio della parola.  A partire dalla fine del Seicento si definì una consuetudine ortografica che salvava l’acca solo nelle prime tre persone singolari e nella terza plurale dell’indicativo presente del verbo avere: quindi “ho,” “hai,” “ha,” “hanno”, quelle cioè che si prestavano a confusione con altre parole dal suono uguale ma dal significato diverso – o, ai, a, anno.

Ora possiamo spiegare i manuali scolastici ai bambini e perché nella coniugazione del verbo avere, non scriviamo habbiamo e havete.

 

 

 

 

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