(adattato da un articolo del Corriere della sera)
Teste di capretto infilzate sul cancello, persone armate con passamontagna che bussavano alla portafinestra con il calcio dei mitra (orario di cena, la famiglia a tavola). Incendi, canali costruiti per provocare allagamenti. Minacce di morte: con lettere, messaggi sul cellulare, post su Facebook. I figli seguiti alle partite di calcio. Le bombole del gas da quindici chilogrammi depositate di notte sullo zerbino.
Per sei anni, la ‘ndrangheta è entrata in casa, nella villetta metà abitazione e metà scuola di musica per bambini. E loro due l’hanno respinta. Con coraggio, un coraggio raro. Con le denunce, in una città che non denuncia niente. Martino e Serenella Parisi, 55 e 50 anni, hanno combattuto e vinto. Adesso la città può mettere il nome e la faccia. Senza paura, con orgoglio.
I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria hanno arrestato il primo dei criminali che hanno cercato di tenere prigionieri la coppia e i cinque figli, tutti maschi. Altri arresti, probabilmente, seguiranno. Non si fermano, gli investigatori.
Il quartiere, feudo della ‘ndrangheta, non voleva quella scuola di musica. Le belle iniziative richiamano i riflettori, muovono energia, danno risposte, offrono alternative. Dunque, per le cosche, sono pericolose. La ‘ndrangheta non vuole nulla, a Reggio Calabria: i turisti, la concorrenza di nuovi esercizi commerciali, voci libere. “Ma qualcosa sta cambiando. La gente inizia a ribellarsi. Siamo soltanto all’inizio, vero. Però ci creda, è già tantissimo”.
I soldi e la rappresaglia
Gallina, zona periferica di Reggio Calabria. Qui Martino e Serenella, lui insegnante di musica e già presidente dell’Accademia di belle arti, lei dirigente scolastica, avevano trovato un terreno per costruire la scuola di musica. I lavori erano iniziati e quasi terminate quando era arrivata la richiesta: per completare il cantiere dovete sborsare 230 mila euro. Un pizzo. Avevano già versato 443 mila euro all’impresa edilizia, e quelli bastavano, quella era la somma concordata secondo preventivo. Non erano sorti problemi strutturali tali da legittimare ulteriori spese per interventi riparatori o modifiche. Eppure la coppia aveva detto no. Una prima, una seconda, una terza volta.
Erano partiti gli avvertimenti. Inizialmente velati. Poi sfrontati. Ancora un rifiuto, netto: noi non ci inchiniamo, andatevene. Ed era scattata la rappresaglia, mentre intorno il quartiere guardava ma taceva, forse si dispiaceva ma non interveniva. Terra di ostaggi, Reggio Calabria. Terra di veleni e complotti, di campagne denigratorie e machine del fango, di persecuzioni e sanguinari giochi di potere, non soltanto per opera della ‘ndrangheta. Ma anche terra di ribellioni.
I ribelli
Martino e Serenella hanno trovato uno straordinario aiuto—un amico, un supporto, un rifugio—in Claudio La Camera. Un uomo che è stato ed è tante cose insieme. Fondatore del Museo della ‘ndrangheta di Reggio Calabria. Ideatore di progetti contro le mafie. Creatore di radio libere dove avviare al giornalismo i giovani, tenaci cronisti cittadini. Punto di riferimento per chi, in città e in regione, non vuole ascoltare le ragioni e gli ordini delle organizzazioni criminali (e dei tessitori di trame oscure). La Camera ha dato forza alla coppia, l’ha convinta a non arrendersi. Ci sono stati momenti drammatici, di angoscia, di terrore. I figli venivano seguiti agli allenamenti e alle partite di calcio. Quando compivano gli anni, i genitori ricevevano telefonate anonime di auguri. Se si muovevano sul motorino, altre telefonate consigliavano di dire ai ragazzi di stare attenti quando giravano, perché con gli scooter, “si può anche cadere”.
“Non siamo eroi”
Giornaletti locali, imbeccati dai malavitosi, hanno scritto nefandezze contro i Parisi, “svelando” inesistenti segreti nella vita privata e fantomatiche raccomandazioni mafiose nella vita professionale. Campagne d’odio, di devastazione. Il primo arrestato si chiama Emanuele Quattrone, ha 47 anni e vari precedenti. Nella zona lo conoscono, ha voluto sempre dettar legge.
Se uno non ha vissuto a Reggio Calabria, farà una gran fatica a capire com’è davvero la vita quotidiana. Ci sono quartieri dove scende acqua sporca, lavarsi è impossibile e bere pericoloso. Ci sono supermercati dove non entrano clienti perché la ‘ndrangheta ha i suoi supermercati e li ha imposti.
Questa coppia, questa città la difenderà sempre: “Tanti se ne vanno ad abitare altrove perché stanno male all’idea di tirar su i figli in un luogo così tormentato. Ognuno ha le sue ragioni. Ma ci domandiamo: perché darla vinta ai violenti? Prima che loro, Reggio Calabria è nostra. Sono i violenti che, semmai, devono cambiare città. Lei ci chiede come abbiamo fatto…Guardavamo i nostri figli. E guardiamo i bambini, spesso di famiglie povere, che vengono alla scuola di musica, oggi finalmente avviata. Abbiamo potenzialità per mille studenti. Ce ne sono però soltanto venticinque e comunque ce li teniamo stretti. Alcuni corsi, all’inizio, hanno visto il numero dei presenti diminuire di giorno in giorno. Nel quartiere non volevano, le famiglie dei bambini li ritiravano da scuola. Se di loro iniziative o in quanto obbligati, non fa differenza. Non deve far differenza: noi due non siamo eroi, siamo genitori.” E genitori che avevano un sogno.