(È stato estratto e tradotto da un lungo articolo dal New Yorker intitolato “Sangue e giustizia”)
Una volta considerato poco più di un gruppo di banditi dalla campagna in Calabria, in Italia, la ‘Ndrangheta (pronunciato “n-drahng-ghe-ta”) divenne uno dei più potenti sindacati del crimine nel mondo dopo il 1990. Alla fine del 2010, gestiva il 70% del commercio di cocaina in Europa; ha estorto miliardi di euro alle imprese e ha truffato l’Italia e l’UE per un totale di miliardi attraverso contratti per strade, porti, energia eolica e solare, e persino lo smaltimento di scorie nucleari, che ha scaricato in mare al largo della Somalia. I capi gestivano un impero che operava in 50 paesi.
Come altre organizzazioni mafiose, la “Ndrangheta (dal greco che significa “uomini d’onore”) ruotava attorno alla struttura familiare. Ogni famiglia era un feudo in miniatura, in cui le donne erano poco più che schiave. I padri facevano sposare (matrimonio organizzato) le loro figlie da adolescenti per suggellare alleanze di clan. Le donne venivano picchiate quando dicevano la loro, e le mogli infedeli venivano uccise, di solito dai loro parenti maschi più stretti.
I pubblici ministeri italiani hanno convenuto che le donne della ‘Ndrangheta conducevano una vita drammatica. Ma non consideravano le donne di grande utilità nella loro lotta … fino a quando la procura della mafia Alessandra Cerreti arrivò in Calabria. Credeva che i funzionari giudiziari, che erano per lo più uomini, sottovalutassero l’importanza delle donne ‘ndrangheta perché “gli uomini italiani sottovalutano tutte le donne”. La squadra che si è unita in Calabria è stata un’eccezione; credeva che, in un’organizzazione criminale che è incentrata sulla famiglia, le donne dovessero avere un ruolo sostanziale. Il loro compito più importante era quello di crescere la generazione successiva con una stretta convinzione nell’omertà e l’odio verso gli estranei. Ma molte donne sono anche state coinvolte nel business. A volte, facevano da messaggeri tra fuggitivi o compagni imprigionati, passando piccole note piegate—pizzini—scritte in codice. Alcune donne fungevano da tesorieri e contabili. Alcune hanno preso parte alla violenza.
Cerreto riteneva che gli informatori femminili fossero una fonte inestimabile di informazioni, ma che avrebbero richiesto un enorme coraggio per la cooperazione. Quando l’Italia ha dichiarato guerra alla ‘Ndrangheta nel 2010, ha ottenuto la sua prima opportunità. A seguito di incursioni in diverse città, sono state arrestate 30 persone, tra cui 7 donne. Giuseppina Pesce, il cui marito era già in prigione, sapeva che avrebbe dovuto affrontare più di un decennio in prigione. Ma quello che la preoccupava davvero era che lei avesse una relazione, e il giornale ha riportato che era stata detenuta con un uomo. Probabilmente sarebbe stata uccisa e i suoi tre figli sarebbero stati cresciuti dalla ‘Ndrangheta. Finalmente si decise a parlare con la procuratrice Cerreti, e alla fine strinse un accordo. “Tutto ciò che testimonio ora, lo faccio per dare ai miei figli un futuro diverso”.
Le prove di Pesce sono arrivate a più di 1.500 pagine. Comprendevano diagrammi della gerarchia della ‘ndrangheta, descrizioni di rituali, prove di omicidi, la posizione di bunker (dove vivevano i criminali), resoconti dettagliati di contrabbando di cocaina, racket di estorsione, riciclaggio di denaro, frodi con carte di credito, e corruzione pubblica. Le prove hanno sostenuto casi esistenti e ne hanno aperti molti di nuovi. Il tradimento di Pesce ha scosso la ‘Ndrangheta e ha mobilitato la sua famiglia che ha pensato che se aveva collaborato per il bene dei bambini, si sarebbe anche fermata per loro. Poi una lunga serie di minacce ha iniziato ad usare i figli di Pesce come pedine. Pesce ha ritirato la sua testimonianza.
Dopo l’omicidio di una sua amica che era diventata un informatore, Giuseppina Pesce ha riacquistato la sua risolutezza. Il processo a 64 membri della ‘ndrina di Pesce è iniziato nel 2012 ed è durato 5 anni. Alla fine, le sue prove ha portato al crollo di una delle famiglie criminali più potenti d’Europa.
Per Cerreti e Pesce, è stato un coraggioso viaggio in una vita caratterizzata dall’isolamento, senza amicizia, e pieno di paura. La procuratrice ha una porta dell’ufficio in acciaio, guida in un’auto blindata e ha 4 guardie del corpo ma pochissimi amici. L’identità di suo marito è un segreto e non ha bambini per il terrore che potessero perdere la vita. Pesce e i suoi figli saranno tenuti sotto il programma di protezione dei testimoni per il resto della loro vita. Conducono un’esistenza noiosa. Un giorno in cui il fratello di Giuseppina uscirà di prigione, cercherà di trovarla per ucciderla. “Tutte queste esperienze mi hanno rafforzato come donna. Conoscevo i rischi, ma alla fine l’ho fatto”.